Eccezionale invenzione dei coniugi Moser già insigniti del Nobel
GIOVANNI ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XIX – 26 marzo 2022.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia).
Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società,
la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste
e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Si tratta
di un prodigioso quanto minuscolo gioiello tecnologico che pesa meno di 3g, in
grado di registrare l’attività di oltre 1000 neuroni per volta e può applicarsi
sulla superficie cranica per “vedere” dal vivo in diretta cosa accade nella
corteccia cerebrale di un animale mentre corre, mangia, beve o esplora uno
spazio nuovo. È costituito da un microscopio bifotonico miniaturizzato (MINI2P)
in grado di sviluppare un calcium imaging
rapido, multiplanare e ad alta risoluzione; il
rilevatore di immagini funzionali è stato applicato a topi che hanno mostrato
di non avvertire la sua presenza, dedicandosi liberamente a tutte le attività
di preferenza e necessità della vita quotidiana.
Da un punto
di vista strettamente tecnologico, questo rilevatore di immagini microscopiche
della vita delle cellule nervose della corteccia cerebrale, può ritenersi un approdo
di ultima generazione di apparecchi realizzati negli anni recenti e di cui ci
siamo occupati, ma in termini di applicazione pratica le sue risorse lo rendono
unico.
Uno degli
scopi di maggior rilievo e interesse nelle neuroscienze contemporanee è l’identificazione
dei codici delle popolazioni neurali sottostanti le complesse funzioni del
cervello dei mammiferi. Le nuove tecnologie per rilievi e registrazione in
grande scala dell’attività neurale dell’encefalo di un animale sveglio e in
movimento hanno reso possibile il raggiungimento di questo scopo. Una di queste
tecnologie consiste nello sviluppo di immagini dell’attività dei neuroni
secondo i principi della microscopia ottica ed è nota come optical imaging.
Indicatori codificati geneticamente come GCaMPs sono
usati per il monitoraggio ottico delle variazioni del calcio libero
intracellulare, e permettono di seguire otticamente l’attività di singoli
neuroni simultaneamente a quella di grandi popolazioni di cellule ampiamente
distribuite e identificabili all’interno del campo di vista (FOV, da field
of view) del microscopio.
Per
ottenere immagini funzionali di neuroni cerebrali in animali svegli, finora i ricercatori
hanno potuto contare su microscopi bifotonici (2P) di
tipo stationary benchtop
che potevano essere impiegati mentre un animale svolgeva un compito, ma avendo
la testa fissata sotto l’obiettivo. Naturalmente con questa tecnica è
impossibile visualizzare le cellule nervose che entrano in funzione quando un
animale percorre, esplora o attraversa uno spazio, e, in ogni caso, rimane una
tecnica limitata allo studio di attività comportamentali stazionarie,
equivalenti a compiti sedentari umani.
Per
questa ragione, vari gruppi multidisciplinari hanno provato per vent’anni a
realizzare microscopi 2P miniaturizzati (“miniscopi
2P”) che possano essere portati sulla testa da animali liberi di muoversi. Noi
abbiamo proposto, negli anni, le maggiori novità in questo campo che,
naturalmente, costituivano un notevole progresso rispetto ai bifotonici fissi, ma presentavano anche alcuni limiti non
trascurabili.
Infatti,
i primi miniscopi 2P dovevano affrontare grandi
problemi, quali la dispersione temporale nelle fibre eccitatorie, la distorsione
dell’immagine per scansione lenta, il peso notevole (o comunque avvertito
dall’animale) e, infine, dei cavi ottici non flessibili.
A questi
problemi si è cercato di far fronte con l’invenzione di miniscopi
1P, cioè monofotonici, in cui si sacrificavano il
sezionamento ottico e la capacità 3D per ridurre le dimensioni e ottenere una
connessione a cavo di peso leggero. Ma ben presto i miniscopi
1P hanno fatto registrare limiti per molti versi maggiori: si sono rivelati
poco indicati per aree cerebrali attive e densamente contrassegnate, a causa di
contaminazione da parte della fluorescenza di fondo; sono risultati incapaci di
rilevare i piccoli spostamenti di calcio; mancano, infine, di informazione z
assiale.
Tali
inconvenienti hanno motivato la realizzazione di una nuova generazione di 2P
miniaturizzati con risoluzione, velocità e scansione z simile a quelle
dei 2P benchtop e un FOV prossimo a quello dei
miniscopi 1P. Fra questi nuovi 2P miniscopi,
noi abbiamo presentato quello realizzato dal team di Milanovic e quello
più recente (2021) di Zong e colleghi che ha un FOV
di oltre 400 x 400 μm2 e una capacità di scansione z di
180 μm. Tuttavia, il peso di circa 5 g e la rigidità del fascio di fibra
ottica interferisce con i movimenti dell’animale, compromettendo qualsiasi esperimento
in cui i topi devono percorrere (navigate) lo spazio liberamente per
lunghi periodi.
Il MINI2P
dei Moser qui presentato è un 2P miniscopio che
aumenta la quantità di cellule nervose monitorabili per ordine di grandezza e
supera i limiti delle precedenti versioni, consentendo il comportamento
esploratorio e tutte le corse volute dal roditore senza dargli alcun affaticamento,
per un peso non molto superiore a 2 g, con immagini di elevata stabilità e
qualità.
(Zong
W. et al. (May-Britt Moser and Edvard I. Moser), Large
scale two-photon calcium imaging in freely moving mice. Cell – Epub ahead
of print doi:10.1016/j.cell.2022.02.017, March 18, 2022).
La provenienza degli autori è la seguente: Center for Neural Computation, Kavli
Institute for Systems Neuroscience, Norwegian University of Science and
Technology, Trondheim (Norvegia).
Per ricordare lo straordinario
contributo dei Moser alla conoscenza delle basi neuroniche e neurofisiologiche
del comportamento, che li ha portati al conseguimento del Premio Nobel con John O’Keefe nel 2014, si riporta una sintesi tratta da un nostro articolo
precedente:
“L’intuizione
dell’esistenza nel cervello di una mappa cognitiva dell’ambiente da parte di
Edward Tolman è citata da Siegelbaum, Kandel e vari altri
autori, quale primo antecedente documentato dell’ipotesi di lavoro che portò nel
1971 John O’Keefe e John Dostrovsky a scoprire
nell’ippocampo di ratto una speciale mappa cognitiva dello spazio vissuto dall’animale.
Non deve meravigliare, però, che fra i ricercatori l’idea di una
rappresentazione cerebrale dinamica dell’ambiente circolava da tempo. L’osservazione
della rapidità e dell’efficienza dei movimenti dei roditori anche in ambienti
nuovi e le prestazioni di memoria spaziale di uccelli e mammiferi in grado di
ricordare l’esatta localizzazione di nascondigli di cibo o di altri contrassegni
ambientali, avevano da tempo suggerito la possibilità dell’esistenza di sistemi
neuronici specializzati. Grazie al lavoro di John O’Keefe, oggi possiamo dire
che la familiarità di un animale con un particolare ambiente è rappresentata
nell’ippocampo da uno speciale schema di attività nelle regioni CA3 e CA1 di
una popolazione di neuroni piramidali detti cellule di luogo o place cells. Ciascuna di queste cellule
si attiva quando un animale entra nella zona di spazio corrispondente all’area
di competenza della cellula, il campo di luogo o place field. Quando un animale entra in un nuovo ambiente, nel giro
di pochi minuti si formano nel suo ippocampo nuovi campi di luogo, che rimangono stabili per settimane o mesi. Per
queste proprietà, se si registra l’attività elettrica di un numero adeguato di place cells, è possibile ricavarne
l’informazione relativa a dove si trovi esattamente l’animale in quel momento.
In tal modo si ritiene che l’ippocampo costituisca una mappa dinamica dello
spazio circostante. La dimostrazione da parte di O’Keefe della funzione delle cellule di luogo ha fornito la prima
evidenza di una rappresentazione cerebrale dell’ambiente che consente
all’animale un’agevole ed efficace traduzione delle intenzioni locomotorie in
atti appropriati alle caratteristiche dello spazio. Questa mappa cognitiva non è organizzata secondo un criterio anatomico topografico o egocentrico,
come la somatotopica del tatto sulla superficie della corteccia cerebrale, ma è
una rappresentazione che si può definire allocentrica,
essendo fissata ogni volta rispetto ad un punto del mondo esterno. In altri
termini, è una rappresentazione dello spazio-ambiente relativa al punto in cui
si trova l’animale.
La mappa
cognitiva ippocampale dello spazio rappresentata nelle cellule di luogo, nei trent’anni seguenti, ha ottenuto numerose
conferme sperimentali ma, sebbene la sua esistenza fosse diventata una nozione
consolidata nella didattica, rimaneva un mistero come facesse questa popolazione
cellulare a conoscere le informazioni spaziali necessarie alla sua funzione. In
altri termini, non si riusciva a capire in che modo la mappa si costituisse,
quale tipo di informazioni spaziali e in quale modo giungessero a queste
regioni dell’ippocampo.
Nonostante
l’impegno di molti ricercatori, si continuò a brancolare nel buio fino al 2005,
quando Edvard I. Moser, May-Britt Moser e colleghi
accesero una luce straordinaria con la scoperta di un nuovo sistema cellulare organizzato
come una griglia che mappa lo spazio
nella corteccia entorinale mediale secondo un criterio del tutto diverso[1]. I neuroni scoperti dai coniugi Moser, detti cellule
griglia o grid cells, compongono con i loro assoni la via perforante diretta all’ippocampo, e,
a differenza delle cellule di luogo ippocampali
che si attivano solo quando l’animale è in una singola e specifica
localizzazione, scaricano ogniqualvolta l’animale è in una di varie posizioni
regolarmente spaziate a formare una griglia
o grata a maglie esagonali. Questa
grata consente al cervello di localizzare
il corpo cui appartiene all’interno di un sistema di coordinate cartesiane
proiettate sul suolo dell’ambiente circostante, ma indipendenti dal contesto,
da elementi distintivi di un territorio o contrassegni caratterizzanti un luogo[2].
Le
informazioni spaziali codificate dalle grid cells, secondo
il criterio della griglia nella corteccia entorinale mediale, sono poi convogliate
all’ippocampo dove sono elaborate nella chiave di singole rappresentazioni
spaziali corrispondenti all’attivazione delle cellule di luogo.
Ogni dato
ambiente, per gli animali studiati e presumibilmente per la nostra specie,
trova corrispondenza in una particolare configurazione
di attività della specifica popolazione di cellule ippocampali, ossia è
rappresentato in un firing pattern che, una volta costituito, è
stabilmente conservato. Come? Questo problema di memoria ha impegnato a lungo i
ricercatori: poiché le cellule di luogo o place
cells non sono altro che i neuroni piramidali sui quali da decenni si
studia il potenziamento di lungo termine (LTP), la principale base cellulare
della memoria che si conosca, si è ipotizzato un ruolo dell’LTP nella conservazione
della memoria della configurazione di
attività corrispondente all’ambiente.
La verifica
di tale ipotesi ha richiesto esperimenti con topi mancanti della subunità NR1
del recettore NMDA, necessaria per il potenziamento di lungo temine dell’attività
sinaptica dei neuroni piramidali. Gli esperimenti, sorprendendo i ricercatori,
hanno mostrato che i neuroni piramidali ippocampali, nonostante il blocco
dell’LTP, ancora si attivano secondo campi
di luogo. In questi topi mutanti, però, i campi di luogo risultano più espansi e meno precisamente delimitati
nella sagoma dei loro confini rispetto a quelli dei topi normali. In un’altra serie
di esperimenti con topi mutanti si è cercato di verificare l’importanza della
fase terminale del potenziamento e della memoria spaziale a lungo termine. In
tali ceppi murini l’espressione di un transgene che codifica una proteina
inibitrice della proteinchinasi A,
selettivamente elimina lo sviluppo della fase tardiva dell’LTP e della memoria
dello spazio di lunga durata. Anche in questo caso i campi di luogo si formavano ancora, ma le configurazioni di attività (firing patterns)
delle singole cellule di luogo
duravano all’incirca un’ora e poi andavano perdute.
Su questa
base si è dedotto che l’LTP tardivo non è richiesto per la formazione dei campi di luogo, ma è indispensabile per
la loro stabilizzazione a lungo termine.
Un filone
più recente e affascinante di indagini è quello che, con numerosi lavori, ha
affrontato il problema dei rapporti fra la struttura funzionale delle mappe
spaziali ippocampali e le basi neurali della memoria esplicita o dichiarativa
tipica della nostra specie.
Nell’uomo,
la memoria esplicita può essere definita come la rievocazione cosciente di
fatti relativi a persone, luoghi ed oggetti. Nei topi non è possibile studiare
la coscienza (coscienza di ordine
superiore, secondo Edelman), pertanto si è eletta come equivalente l’attenzione selettiva, funzione
indagabile nel topo ed attiva nell’uomo durante la rievocazione cosciente. Gli
esperimenti condotti secondo questa impostazione hanno dimostrato che la
memoria a lungo termine di un campo di luogo stabilmente conservato nell’ippocampo
non è una memoria implicita costituita e usata automaticamente, ma richiede
l’intervento di processi di specifica attenzione all’ambiente, che possiamo
ritenere equivalenti della nostra rievocazione cosciente.
Come si
diceva più sopra, introducendo l’articolo qui recensito, a fronte dell’esigenza
di una codifica specifica e rapida delle nuove informazioni per un uso efficace,
l’ippocampo e le aree collegate rispondono con sistemi neuronici in grado di
registrare una grande quantità di informazioni non correlate fra loro, fornendo
un ricco materiale di indagine dal quale è stata tratta una considerevole mole
di risultati. I coniugi Moser, per analizzare quanto emerso, hanno preso le
mosse dalle proprietà delle place cells,
delle grid
cells, delle quali si è già detto, e delle border cells, ossia un tipo neuronico che risponde elettivamente al
rilievo dei confini di uno spazio dell’ambiente. Il che in sostanza vuol dire
che hanno basato la loro valutazione sui principi fisiologici che sono stati
desunti dall’attività di queste cellule e dal profilo funzionale che si va
delineando per i sistemi cui appartengono.
In
estrema sintesi, la concettualizzazione di quanto osservato dai Moser può così
schematizzarsi:
1) le “cellule a grata” o griglia o grid cells forniscono l’ippocampo di un sistema metrico altamente specializzato,
ma anche di un probabile meccanismo che realizza una separazione o de-correlazione
di rappresentazioni;
2) la formazione di “mappe di luogo”
(place maps)
specifiche per l’ambiente dipende da meccanismi di plasticità a lungo temine
delle sinapsi ippocampali;
3) l’immagazzinamento di memorie
spazio-temporali a lungo termine
dipende da processi di consolidamento che avvengono offline e sono associati ad una specifica attività elettrica
ippocampale (sharp-wave ripple) da
tempo correlata a questo processo;
4) l’enorme quantità di rappresentazioni,
generate dalle interazioni fra una varietà di sistemi cellulari funzionalmente specializzati del circuito corteccia entorinale-ippocampo, può
costituire il nucleo fondamentale della memoria dichiarativa”[3].
Ricordati gli aspetti salienti
del lavoro che ha reso celebri nel mondo i Moser, ritorniamo alla realizzazione
di questo gioiello in miniatura della tecnologia bi-fotonica.
Il MINI2P riesce a visualizzare un numero molto maggiore di cellule cerebrali;
questo risultato è stato raggiunto attraverso un sistema ottico progettato con
un campo di vista (FOV) ingrandito, con una lente microregolabile,
con un maggiore raggio di scansione z e una velocità che consente lo sviluppo di immagini stabili
e rapide, allo stesso tempo, di numerosi piani differenti, così
come splendide immagini funzionali in 3D.
I ricercatori, mediante imaging
in sequenza di numerosi FOV adiacenti, sono riusciti a registrare l’attività di
più di 10.000 neuroni dello stesso animale.
L’impiego
della loro invenzione ha consentito a Edvard I. Moser e May-Britt Moser di raccogliere dati di ampia scala, come prova-di-principio, da
popolazioni di cellule della corteccia visiva, della corteccia
entorinale mediale e dell’ippocampo, rivelando “sintonia” spaziale
dei neuroni in tutte e ciascuna di queste aree.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa
Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito
(utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni
Rossi
BM&L-26 marzo 2022
________________________________________________________________________________
La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla
International Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle
Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale
94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] V. Note e Notizie 24-06-06 Neuroni entorinali aiutano ad esplorare l’ambiente; Note e Notizie 06-10-07 Griglia esagonale e ippocampo (riporta in calce l’indicazione bibliografica per esteso dei due lavori che hanno comunicato la scoperta da parte dei Moser, oltre al riferimento al volume classico di introduzione all’argomento). Numerose altre recensioni si trovano scorrendo l’elenco delle “NOTE E NOTIZIE” (dall’11-03-2003 al 10-07-2010 sono rubricate come “ARCHIVIO NOTE E NOTIZIE” cui si accede dal fondo della pagina “NOTE E NOTIZIE”).
[2] Gli studi sulle grid cells sono proseguiti ed è stato dimostrato che la loro attività richiede il segnale neuroni che indicano la posizione della testa dell’animale, o cellule HD (head direction cells). In proposito si raccomanda la lettura della recensione della professoressa Richmond: Note e Notizie 14-02-15 Le cellule griglia hanno bisogno del segnale delle cellule HD.
[3] Note e Notizie 28-11-15 Una lezione sulla memoria dai coniugi Moser insigniti del Nobel nel 2014.